giovedì 3 ottobre 2013

Fuck Buttons – Slow Focus (Recensione)

Da Bristol non si esportano solo le nenie ovattate dei Portishead o i mantra urbani dei Massive Attack; la città predilige da sempre anche forme di alienazione sonora più ferine, come il Pop Group con i suoi eccessi di primitivismo militante, i Pigbag e i loro deliri free o il brutale funk algido dei Glaxo Babies. Il suono inumano e riecheggiante dei Fuck Buttons è affine per il diffuso senso di minaccia e per l’inesorabile ossessività, ma la reiterazione mira a dilatare aperture spaziali in cui smarrirsi, piuttosto che circoscrivere cunicoli claustrofobici; il profondo risuonare in molteplici direzioni è la materia in cui il duo plasma il proprio microcosmo di particelle elementari, all’insegna di un riduzionismo operato tramite droni e distorsioni.
La ripetizione di scuola Neu! tratteggia una mappa stellare disorientante: nell’iniziale "Brainfreeze" le percussioni martellanti come barili si intersecano a rumorosi pulviscoli e alle lame del synth che, dopo i primi minuti,  si alza di un’ottava e si modella in stalattiti acuminate di pianeti inospitali; "Year of the Dog" lancia un codice morse di gocciolii gelidi che si infittiscono in un diluvio ansiogeno, celando appena le reminiscenze Moroder della pulsazione sottostante. Il lavorio che leviga materiali extraterrestri in "The Red Wing" dimostra l’efficacia straniante dell’espansione spaziale: non è solo l’essenzialità di suoni scolpiti come solidi geometrici a garantire il senso di oppressione e stordimento, ma anche l’evaporare multidirezionale di masse gassose nell’indefinito siderale. "Sentients", con il suo gracidare ritmico adagiato su una via lattea sintetica, ha il potere di produrre un’ipnosi artificiale; dopo l’handclapping alieno di "Prince’s Price, Stalker" si apre con il lamento di una segheria postatomica, per poi diluirsi in un richiamo interstellare. Non sono concessi vuoti nella filigrana sonora costante: il senso di saturazione permea l’intero lavoro del duo sino alla rarefatta epicità della conclusiva "Hidden Xs", in cui una successione ripetuta di scie avviluppate sancisce l’omogeneità sonora complessiva.

Slow Focus è un corpo celeste dalla consistenza aeriforme, la cui composizione è solo apparentemente interrotta da varchi: a ben guardare, ogni elemento atomico è compenetrato da quello adiacente, in un’inestricabile trama che non lascia momenti di tregua.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: ATP

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