mercoledì 12 giugno 2013

Cocorosie – Tales of a GrassWidow (Recensione)

Quando uscì Noha’s Ark, sembrava che il folk newyorkese da fiabesca filastrocca finto-stracciona dovesse affermarsi come una delle forme espressive destinate a guidare i primi vagiti dell’avanguardia musicale del nuovo millennio. Ma se gli altri convenuti al cerchio magico radical-chic, come Devendra Banhart o Joanna Newsom, hanno saputo confermare un talento e un’ispirazione credibili, seppur discontinui, le sorelle Casady hanno alimentato più di un dubbio sull’autenticità della consistenza creativa che apparentemente soggiaceva a quella prova ormai risalente a otto anni fa.

Dopo due episodi eufemisticamente poco convincenti quali The Adventures of Ghosthorse & Stillborn (2007) e Grey Oceans (2010), subisco l’ascolto del nuovo lavoro con un’indifferenza solo a tratti scossa da istanti di fastidio o improvvisi sussulti di curiosità. Il corteggiamento di sonorità trip-hop rivela una vera e propria passione antiquaria, nei confronti di un genere che magicamente suonava già vecchio alla fine degli anni Novanta; l’impressione generale è di assistere a un esercizio di maniera, ridotto a recupero degli scarti decennali di avanguardie ormai non più tali poiché assurte al rango di classici, come i tintinnii glaciali e le pulsazioni interrotte di "Child Bride", che furono marchio di fabbrica di Bjork. Il contributo di Antony non concorre a nobilitare l’attitudine ordinaria del lavoro, e non solo per la mia particolare avversione verso la voce affettata e melò del pingue ex pupillo di Lou Reed, ma per l’evidente convenzionalità di un’interpretazione professionale e perciò superficiale.

Ciò che disturba non è tanto la perdita dell’elemento alt o avant come prefisso del nucleo pop, qui evidentemente dominante, quanto la scelta consapevole dello stereotipo quale stilema stilistico: la ricerca esplicita di un suono accattivante e intenzionalmente estroso scivola inevitabilmente nella compiacenza dell’innocuo sottofondo da spot pubblicitario. Le sorelle padroneggiano mezzi espressivi raffinati con cui tentano di ammaliare prestando attenzione però a non destabilizzare; se è la blanda persuasione quello che vi aspettate, se cercate una colonna sonora adatta mentre scegliete la nuance delle tende da abbinare alla sfumatura del battiscopa,  potreste anche essere soddisfatti dall’innocua grazia di Tales of a GrassWidow. Io, continuo a rifuggire dal confortevole.

Voto: ◆◆◇◇
Label: City Slang

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