venerdì 28 marzo 2014

Hartal! – S/t (Recensione)

La dichiarazione d’intenti chiama in causa psichedelia e punk: quale il comune denominatore, a parte la predilezione per le sostanze tossiche? Sempre che l’inclinazione all’essenzialità ossessiva sia realizzabile senza droghe sistematicamente e smisuratamente assunte.
La complessità non è ottenuta tramite l’accumulo di elementi diversi, ma in virtù della reiterazione di un reticolo sonoro essenziale, nell’eterno presente di una ciclicità naturale, che fluisce costante come le stagioni che si susseguono immutate. Gli Hartal! al loro esordio non temono di erigersi sulla ripetizione di un accordo, che è fondamentalmente un gesto, né di estinguerla dal primo brano "Uno" a "Barefoot Empire": lo sforzo di sintesi non è depotenziato dalle percussioni ancestrali né dal salmodiare della voce, che si scava uno spazio nella progressione del rituale, per poi indietreggiare senza abbandonare la qualità onirica. Dal cupo lirismo dei Drowning Pool alla lugubre messa esoterica dei Dead Skeletons, attraversando il purgatorio delle suite dei Godspeed You! Black Emperor, scarnificate e spogliate di ogni epicità, questa catabasi laica svela il nichilismo sotteso alla psichedelia, quale possibile autentico nesso con il punk: il deragliamento programmato di tutti i sensi. Old "Chicken Makes Good Broth", al di là della primitiva saggezza del titolo, si struttura su un basso rotondo che richiama gli apocalittici albori degli anni ’80 nei primissimi Killing Joke; la melodia, reduplicata dalla sovrapposizione strumentale e più articolata dello scarno e dilatato recitato della voce, nel finale mantiene la promessa di controllato abbandono. Il comizio annichilito di "Megaloo V" estende una declamazione decadente su indigeni suburbani, chiamando all’adunata di massa sull’oscillazione della chitarra e su disturbanti, lontani allarmi. "Chasing the Beaver" riaccende l’innesco della deflagrazione Killing Joke, con il suo ansiogeno percuotere e la destrutturata cacofonia indistinta degli ultimi secondi; ma l’episodio più stupefacente, e probabilmente stupe-fatto, è la magnifica e struggente suggestione esotica di "Ogoniland", affollata di tamburi e fiumane di chitarre e stravolta dalla voce in un’esasperazione cannibale; la galassia centrale di ispirazione Spacemen 3 disorienta, prima che il sax free inietti quell’isteria irresistibile che ti respinge fuori dalla stanza eppure, al tempo stesso, ti inchioda, con la tua nausea latente in fondo allo stomaco in fiamme. Il punk in 11 minuti e 51 secondi.

Voto: ◆◆◆
Label: diNotte Records/V4V Records/Indastria Records

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