mercoledì 14 marzo 2012

Wallis Bird – Wallis Bird (Recensione)

Wallis BirdPotrebbe essere scambiata per Fiona Apple per la voce, con Ani DiFranco per il sound o per l’espressività convulsa, ma Wallis Bird è Wallis Bird, non ha la personalità della prima né l’eleganza dura della seconda, mamma gli ha insegnato gli accordi delle canzoni americane, papà le ha fatto ascoltare le grandi vocalist del jazz e cosi, sin da piccolissima, Wallis Bird ha imparato a trasformarsi i propri sentimenti in suoni, vocalizzi e scaltrezze varie.

Bella cantautrice e musicista irlandese, la Bird arriva con il nuovo album omonimo, undici tracce in cui la musica è una forte e delicata miscela d’intensità indie ma con le tramature precise di un folk-punk e blues-funk contaminati, urbani, con dentro tutta la contemporaneità possibile a fare in modo che l’ascolto non rimanga compresso dentro stereotipi, ma libero di approdare o approcciare all’esterno degli stili; suona una chitarra “stranamente conformata” per via che l’artista – causa un incidente di percorso – ha perso le dita della mano sinistra e si è dovuta adattare a questa posa tecnica per suonare, ma non se ne risente per niente, anzi, i suoi chitarristi brillano di una precisione eccelsa, ed è proprio questo che le renda ancor più geniale.

Undici tracce di scatti improvvisi e visionari, parimenti a ruote libere di dolcezza e rilassatezza, senza gli intellettualismi di prassi che si prodigano nella nuova leva cantautorale internazionale ma livide di quell’immediatezza da “riot girl” in costante ricerca di una carezza, di un amore tiepido; un disco dove dalla prima all’ultima canzone non si avverte mai una benché minima fase di stanca, è come un diario di bordo umano che infervora il sangue ad ogni cambio pagina, come le storie della Marvel o le strisce di Manara, qui centuplicate e con poche regole precise.

Straordinari gli open space decritti dall’alto di un sogno “Dress my skin and become what I’m supposed to”, le vibrazioni intime di una chitarra scapigliata “Take my home”, il polso dal battito soffuso “Ghost of memories”, la DiFranco che si palesa nel ritmo convulso di “Who’s listening now?” ed il vocalizzo allo specchio che intenerisce tanto “Feathered pocket”; un registrato sferzante e carezzevole che dimostra che certe lezioni imparate a memoria e tramandate fino ad oggi non sono certo tecniche da sopravvissuti, anzi, sono il fresco explosion groove che mai come ora sperimenta nuove strade per migliorarne l’eterna perfezione. E Wallis Bird c’è dentro fino al collo.

Voto: ◆◆◆◆
Label: Karakter


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